Workshop a Chioggia
Il mare. Com’era.


Un progetto internazionale per lo studio
della storia dell’ambiente del Mediterraneo.

 

1. Il Mediterraneo, un ecosistema in pericolo
Il mar Mediterraneo, Mare Nostrum, è stato culla e luogo di incontro di civiltà che insediate sulle sue sponde ne hanno sfruttato le risorse per sostentarsi, utilizzandolo come via di navigazione per la conquista di nuovi territori e per il commercio. Mare un tempo considerato come una divinità, mare abitato da creature mitologiche, ma anche mare che ha subito la forza delle trasformazioni che in millenni di storia l’uomo ha determinato. Un ecosistema oggi in pericolo a causa dell’aggressività dell’azione umana, tale da compromettere i suoi habitat più fragili, determinare l’estirpazione (cioè l’estinzione a livello locale) di alcune specie di mammiferi marini e pesci, sovrasfruttare le risorse alieutiche, inquinare le acque in modo persistente, alterare i cicli biogeochimici con l’introduzione di nutrienti favorendo fenomeni locali di anossia e mortalità di massa. Un mare che a causa del riscaldamento globale è anche soggetto al fenomeno della tropicalizzazione della sua fauna, con il progressivo spostamento verso nord di specie tropicali o sub-tropicali, quali le specie diffusesi nelle sue acque dal mar Rosso a seguito dell’apertura del Canale di Suez e definite specie lessepsiane (dal nome dell'ingegnere Ferdinand de Lesseps che progettò tale opera). Un ecosistema ferito quindi, in cui i recenti fenomeni di fioritura di alghe tossiche e la massiccia diffusione di meduse della scorsa estate rappresentano solo l’ennesimo campanello di allarme di fronte al quale non restare inerti, senza avere però soluzioni scontate ed a semplice portata di mano.


2. Un film di cui conosciamo solo alcuni fotogrammi
A rendere più complesso il lavoro dei ricercatori e degli enti deputati alla gestione di questo ambiente complesso ed unico, vi è la frammentazione e carenza di informazioni scientifiche che descrivano in modo completo lo stato del Mediterraneo oltre finestre temporali che siano più ampie degli ultimi decenni. Un problema che riguarda però non solo questa area, ma la maggior parte degli ecosistemi marini a livello globale. E’ come se gli studiosi dovessero comprendere la trama di un film solo da alcuni fotogrammi: difficile intuire cosa sia accaduto prima, ancora più complesso immaginarne il finale. Infatti la descrizione degli ecosistemi marini è per sua natura complessa e subordinata all’utilizzo di tecnologie e metodologie di indagine adeguate ad un ambiente così eterogeneo ed ostile, ed è quindi stata perseguita in modo sistematico ed efficace solo recentemente. Inoltre, secondo alcuni scienziati, il ritmo dei cambiamenti attualmente in corso sarebbe talmente rapido che, ad esempio, la percezione da parte dei giovani ricercatori di oggi della sua biodiversità sarebbe radicalmente diversa da quella delle generazioni precedenti. Un problema che limita non solo la comprensione dei fattori dinamici che sono alla base dei processi ecologici in corso, ma anche l’identificazione di obiettivi gestionali concreti. In sintesi, il gestore che volesse riportare il Mediterraneo al suo stato di naturalità (sempre che questo possa essere un obiettivo adeguato da perseguire) non saprebbe definirlo, quindi non sarebbe in grado di orientare le proprie azioni in modo preciso, ma soprattutto di verificare se i suoi sforzi sono stati premiati o meno. A ciò si aggiunge la consapevolezza che i cambiamenti determinati dal disturbo antropico potrebbero aver avuto effetti di rilievo su alcune importanti componenti ambientali ben prima della rivoluzione industriale e della rivoluzione blu, ovvero il processo di meccanizzazione dell’attività di pesca, iniziato nel Mediterraneo nella prima metà del ‘900. Si pensi ad esempio agli effetti della pesca selettiva di alcune specie di alto pregio oppure alla sottrazione di habitat per l’urbanizzazione e l’agricoltura.

3. Il progetto internazionale di Storia delle Popolazioni Marine
Per contribuire a rispondere a questa complessa sfida la comunità scientifica ha attivato una serie di progetti a livello internazionale che hanno come scopo la ricostruzione dello stato delle popolazioni animali marine e del loro sfruttamento nel passato. Tra questi vi è il progetto History of Marine Animal Populations (Storia delle popolazioni marine), iniziato sei anni fa nell’ambito del più vasto progetto Census of Marine Life (Censimento delle popolazioni Marine). Esso considera tredici casi studio, tra i quali il Mediterraneo. La novità di questo progetto nasce dalla sua effettiva multidisciplinarità in quanto vede la collaborazione di esperti appartenenti a discipline umanistiche (storia, archeologia, antropologia) e scientifiche (biologia, ecologia, oceanografia) con lo scopo di valorizzare ed integrare fonti di diversa tipologia, dai documenti storici ed archivistici, alle fonti protostatistiche e statistiche, fino ai dati raccolti nelle prime osservazioni di naturalisti e biologi. In particolare, le informazioni legate al commercio, consumo e cattura di specie ittiche sembra quello da cui poter attingere le maggiori informazioni per caratterizzare al biodiversità marina nel passato.

4. Il Workshop Internazionale di Chioggia dal 27 al 29 settembre 2006
Il più recente appuntamento per fare il punto sullo stato di avanzamento i tali ricerche è stato il II Workshop Internazionale di Storia delle Popolazioni Marine del Mediterraneo e Mar Nero che si é tenuto a
Chioggia dal 27 al 29 settembre 2006, ed è stato promosso dall’Associazione “Tegnue di Chioggia” – onlus,  la Regione Veneto con la collaborazione dell’ICRAM di Chioggia, del Progetto History of Marine Animal Populations e l’European Census of Marine Life.
Venticinque ricercatori provenienti da paesi del Mediterraneo (Spagna, Francia, Italia, Croazia, Grecia, Israele), dall’Europa continentale (Inghilterra e Danimarca) e da paesi extraeuropei (USA) si sono confrontati presentando le più recenti ricerche nell’ambito della storia della pesca del Mediterraneo e del Mar Nero e dello studio dei suoi effetti sulle specie marine.
I contributi spaziavano dalla ricostruzione storica del rapporto tra uomo e ambiente marino ottenute sulla base di scavi archeologici e analisi di testimonianze artistiche (ad esempio per i paesi del Nord Africa), all’evoluzione della tecnologia di pesca dal Medio Evo alla fine del XIX secolo, fino alla descrizione delle attività di pesca nel passato in aree quali il Mar Catalano, l’Adriatico, il mar Egeo ed il Mar Nero.
Il tutto con un’attenzione particolare verso l’identificazione delle specie a rischio di estinzione, in particolare quelle appartenenti al gruppo dei Selacei (ad es. lo squalo bianco Charcharodon charcharias, lo squalo elefante Cetorhinus maximus, e la manta Mobula mobular), oggetto di due distinte comunicazioni che hanno mostrato come questo gruppo, per le proprie caratteristiche ecologiche quali la crescita lenta e le grandi dimensioni, sia fortemente a rischio nel contesto del Mediterraneo.
Il contributo che studi di questa tipologia possono dare proprio nel contesto della conservazione dell’ambiente marino è stato evidenziato da Rino Coppola, senior advisor della FAO e responsabile di diversi progetti relativi al Mediterraneo, che ha rimarcato la necessità di studi basati su solidi presupposti storici per descrivere lo stato delle risorse marine nel passato e la loro evoluzione. Un modo per poter ottenere un punto di riferimento con cui paragonare la situazione attuale ed impostare le politiche gestionali per la conservazione di un ecosistema così fragile ed unico.
Durante il workshop sono state identificate le aree di primario interesse per un futuro approfondimento della storia dell’ambiente del Mediterraneo, in particolare l’alto Adriatico e la Laguna di Venezia, il Mar Catalano ed il Mar Nero, che per l’abbondanza di fonti storiche, statistiche ed artistiche rappresentano dei sotto-sistemi di particolare interesse per lo sviluppo dell’approccio multidisciplinare adottato in tale contesto.


5. L’alto Adriatico come caso studio

Per quanto riguarda l’Adriatico e la Laguna di Venezia molteplici sembrano essere le fonti utilizzabili. Ad esempio i documenti della Repubblica Serenissima o quelli relativi al periodo della dominazione dell’Impero Austro-Ungarico, in cui si trova traccia del commercio e della pesca di specie marine e della relativa legislazione, nonché la descrizione delle flotte pescherecce operanti in Adriatico. A queste si aggiungono le prime descrizioni dei naturalisti, come le monumentali opere dell’Abate Olivi e di Stefano Chiereghin che a cavallo del XIX secolo descrissero le specie di invertebrati e vertebrati presenti nel Golfo di Venezia e nelle sue lagune. Fino a giungere poi a pubblicazioni scientifiche come Neptunia, patrocinata da Levi Morenos ed edita dalla Società Veneta di Pesca ed Acquacoltura, che tra la fine e l’inizio del 1900 aveva come scopo la diffusione della conoscenza scientifica dell’ambiente marino e la difesa e sviluppo delle attività di sfruttamento dell’Adriatico. Oppure i dati statistici di sbarcato dei maggiori porti dell’Alto Adriatico raccolti ed analizzati nella prima metà dello scorso secolo da Umberto D’Ancona e che furono utilizzati da Vito Volterra come base per lo sviluppo delle equazioni che descrivono il rapporto preda-predatore, tuttora conosciute come equazioni di Lotka-Volterra ed insegnate in tutti i corsi di ecologia. Tutte fonti che opportunamente rivisitate e comparate con dati più recenti possono contribuire a ricostruire quale fosse lo stato delle popolazioni marine nel passato, capire la loro diffusione geografica e la pressione di pesca cui erano soggette. Un percorso non solo storico e scientifico ma “culturale” nella sua più ampia accezione, in grado di descrivere il rapporto tra uomo e ambiente marino, di dirci quanto le attività umane l’hanno alterato, quanto l’ambiente sia stato un limite per il suo sviluppo.

Non è quindi un caso che questa tipologia di studi trovi l’appoggio di associazioni e istituzioni che sono radicate nel territorio locale. Ad esempio l’Associazione “Tegnue di Chioggia” e la Regione Veneto, che oltre a sostenere il Workshop Internazionale già citato si sono impegnate in un progetto della durata di tre anni che avrà come oggetto lo ricostruzione storica ed ecologica dell’attività di pesca in Alto Adriatico e Laguna di Venezia dalla caduta della Serenissima ad oggi. Un progetto che vede la collaborazione scientifica dell’ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare) di Chioggia e dell’Università di Haifa e mira, con i progetti attivati in altre aree, a restituire alcuni di quei fotogrammi indispensabili per meglio capire quanto ciò che noi conosciamo del Mediterraneo oggi sia diverso dal passato. Per capire il mare. Com’era.

 

 

 

 

 

 

Piero Mescalchin - Presidente Associazione"Tegnue di Chioggia" - onlus.
Isi Coppola - Assessore Regionale alla Pesca.
Otello Giovanardi - Responsabile ICRAM – STS Chioggia.
Ruthy Getwagen - Storica, Università di Haifa, Israele; Coordinatore del Progetto History of Marine Animal Populations del Mediterraneo e Mar Nero.
Saša Raicevich - Ricercatore, Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, STS di Chioggia.
Sergio Ravagnan - Assessore alla Comunicazione - Chioggia.

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